"TENTATIVO" DI ANALISI E COMMENTO DEI "PROFILI DI RIVOLUZIONARI"
DI ANATOLIJ VASIL'EVIČ LUNAČARSKIJ
 

 

"Ai miei dieci lettori":

- Ho letto questo libro e mi sono reso conto che vi possono approcciare due "tipi" di persone, li chiameremo "quello in relax" e il "malcapitato che sapeva". Iniziamo col dire che questo "libellum" ("libricino", dal latino) di un centinaio di pagine tratta della "Rivoluzione d’ottobre", una grande rivoluzione, ricca di personaggi stravaganti con tanto di "trianomina", capovolgimenti socio-politico-economici di rilievo nonché grandi contenuti dal punto di vista artistico e filosofico. Di certo si può parlare a lungo di questo argomento. In ogni caso gli autori russi ci sanno fare con la penna e riescono a trasmettere concetti alquanto profondi e complessi con una scorrevolezza più unica che rara; Lunačarskij non fa eccezione: egli parla di molti dei rivoluzionari più importanti e di grandi momenti della storia molto fluidamente. Così quello in relax, che non conosce il tema da un punto di vista storico, può leggere questo libro anche per passare il tempo, perché vi giuro che è leggero leggero, nonché interessante e divertente. Piuttosto, il malcapitato che sapeva, sia in maniera discreta che, specialmente, approfondita, capirà dalle prime righe come Lunačarskij, in una manciata di pagine, inserisca una quantità di nozioni e collegamenti tale da rendere ansioso questo "tipo", perché dovrà leggere tra le righe (egli non può non seguir virtute e canoscenza) e mettere sullo stesso piano l’economia del testo e quella della Rivoluzione; di certo, la lettura, in tal modo, smette di essere leggera. Modestamente, io sono proprio quel malcapitato e proprio per questo nel titolo ho scritto "tentativo": sarò all’altezza di coniugare l’analisi letteraria di un bel lavoro d’autore e un contesto monumentale nella parabola umana sulla Terra? Ai posteri l’ardua sentenza… -

Tommaso Magi

Carta di identità

Titolo: "Profili di rivoluzionari"

Titolo originale: "Revolutionary Silhouettes"

Autore: Anatolij Vasil'evič Lunačarskij

Casa editrice: Castelvecchi, ritratti

Le note al termine di ogni profilo sono a cura di Michael Glenny

Traduzione dall’inglese di Anna la Ragione

I edizione: gennaio 2017

Ristampa: 2017 2018 2019 2020

L’opera è divisa in 10 capitoli, ciascuno dei quali è dedicato ad un profilo. Questa si apre con una prefazione, scritta dallo stesso Lunačarskij e datata “Mosca, 20 marzo 1923”. Eloquente è l’unico aggettivo con cui la si potrebbe definire perché nella medesima l’autore presenta il suo progetto in poco più di una pagina.

Comincia: “Il presente libro è composto con una serie di articoli scritti in varie occasioni su alcuni nostri compagni del Pcr. Dovrei cominciare avvertendo che queste non sono biografie, non sono testimonianze, né ritratti, ma soltanto profili: il fatto che siano basati interamente su ricordi personali costituisce al tempo stesso la loro virtù e il loro limite”; A. V. L. dice tutto: l’utilizzo dell’aggettivo “nostri”, attribuito ai “compagni”, definisce il tema e lo spirito fortemente sentito della rivoluzione. Non è chiaro il momento esatto della pubblicazione né tantomeno quello della composizione: della prima posso solo ipotizzare che sia stato pubblicato tra il 1919 (anno in cui l’editore Grzebin chiede a L. di scrivere le sue memorie su La grande Rivoluzione) e il 1923 (anno della prefazione). Spiega successivamente il processo di costruzione letteraria e anche il modo di presentare i personaggi. Segue poi la storia della pubblicazione del libro da parte dell’editore Grzebin (ma senza specificare quanto) ad insaputa di L., la sua modifica dei profili di Lenin, Trockij e Zinov’ev e, in conclusione, la manchevolezza dell’opera, che starebbe nell’aver trattato di tali personaggi fino a prima del 1917.

Ritengo doveroso spendere qualche altro carattere sulla seconda parola del titolo originale, “Silhouettes”: Google traduce “sagome”, ed è azzeccato; non c’è da aspettarsi qualcosa di accademico in questa sede, per quello ci sono gli storici. Qui parliamo di rivoluzionari, gente di mondo, ricercata, prigioniera, grande, famosa, oppure nascosta, indefinita, poliedrica. I compagni scrivono dei compagni rispettando il loro valore di uomini del popolo e della rivoluzione. Qui si opererà alla stessa maniera. Proprio per questo anche io, preso da questo spirito, non proporrò i profili canonicamente, come del resto loro stavano al mondo, non canonicamente; se vi aspettavate una tal cosa lasciate perdere, oppure non aspettatevi nulla, perché magari in alcuni momenti potrei essere più scolastico. Ho pensato di riassumere ogni profilo con delle qualità, argomentate, tali che rispecchino i caratteri principali dei profili di L., con passi dal testo sui tratti salienti delle sagome, per poi diramarmi in mie riflessioni a proposito. Il libellum è corto, non serve una sintesi da protocollo, siamo in un periodo di confusione (quello della rivoluzione) ed è giusto rimanere in tema. Non mancherò però di fare riflessioni sullo stile e sui messaggi lanciati per poi chiudere con quello che L. mi ha trasmesso; perciò, dovendogli rendere un meritato omaggio, inserirò uno stringato specchietto biografico di questo gestore della cultura bolscevico (un Mecenate o Vario Rufo del Novecento). Si proceda…

Profilo 1

Vladimir Ilʹič Lenin: “immensa intelligenza” e “straordinaria energia”.

“Fu lui a darmi notizie più dettagliate su Lenin, che descrisse con entusiasmo, soffermandosi sulla sua immensa intelligenza e sulla straordinaria energia, parlandone come di un amico eccezionalmente gentile” (Gleb Maksimilianovič Kržižanovskij, uno dei primi bolscevichi, parlando di Lenin a L., pp. 9-10).

A questo profilo è dedicato lo spazio maggiore del libro, ovviamente è proporzionato al peso che ha avuto nello svolgimento degli eventi. Tulin, pseudonimo che Lenin usava nelle sue pubblicazioni, è proprio uno di quelli che Hegel avrebbe definito come “individuo cosmico storico”, che si fa tutt’uno proprio nel contesto in cui opera diventandone il volto; Lenin non è solo un partecipante, ma contribuisce alla Storia (PAGINA 22), sì, con la lettera maiuscola.

Interessanti inoltre il paragone del suo cranio (pagina 11) con quello di Socrate, somiglianti per forma, calvizie e parte inferiore del viso, differenti per la profondità degli occhi e per la maggiore vitalità (caratteristica leniniana messa in evidenza anche a pagina 12), e il pensiero di Trockij sul profilo in questione a pagina 14, “Quando ci rendiamo conto che Lenin potrebbe morir, ci sembra che le nostre vite siano inutili e si perde la volontà di vivere”, dopo che quest’ultimo rimase ferito in un attentato a danni suoi (1918).

Profilo 2

Lev Trockij: “eloquenza” e “sicurezza”.

“Fece parlare di sé la prima volta presentandosi al II congresso del partito, in cui si verificò la scissione. Trockij fece impressione per la sua eloquenza, per la sua cultura, notevoli per un giovane, e per la sua sicurezza” (L. parlando di Trockij a pagina 24).

Ho individuato queste due qualità, sebbene nel passo si menzioni anche la cultura, perché innanzitutto la cultura la si può coltivare mentre l’eloquenza, per quanto le scuole e gli esercizi di retorica siano validi, richiede una predisposizione della persona, poi perché saranno queste il suo biglietto da visita: L. infatti non le abbandona; a pagina 26 egli dipinge Trockij come un solo (non solitario ma solo, vi è differenza) per “un’arroganza colossale”; di seguito elenca le caratteristiche che lo rendono un illustre oratore (oltre al vir bonus dicendi peritus del Censore): l’aspetto solenne, i gesti ampi e armoniosi, il ritmo potente dell’eloquio, la voce forte ma non affaticante, la notevole coerenza e la perfezione letteraria delle frasi, la ricchezza delle immagini, l’ironia bruciante, il pathos vibrante, la logica rigorosa e limpida come acciaio” (pp. 28.29).

Lev Trockij, pseudonimo di Lev Davidovič Bronštejn, è, a mio parere, il “numero due” della Grande Rivoluzione: primo commissario di guerra, creatore dell’Armata Rossa, diretto collaboratore di Lenin nonché uno dei vertici del partito. È messo a confronto con Lenin da pagina 30 (anche se a pagina 26 si menziona la sua mancanza di fascino rispetto a Vladimir Ilʹič): quest’ultimo è da sempre bolscevico mentre l’altro ha avuto una carriera politica oscillante (nasce come menscevico dopo il II congresso del partito, 1903, poi si avvicina a Lenin e ai suoi). Entrambi si rivelano persone poco ambiziose, non al potere per il potere ma perché giustamente convinte che solo loro possano rendere al meglio i risultati del loro progetto. Infine Trockij sale sul trono dell’oratore invincibile, ma pecca di istinto fallace, mentre quello di Lenin invece è infallibile, dal momento che alle volte commette degli errori. Forse il più grande è proprio la sua sicurezza, esasperata in arroganza, che è cieca: il grande Lev non vede con lucidità i movimenti degli uomini del partito, specie dopo la scomparsa di Lenin, e così non riuscirà ad imporsi su Stalin che si afferma man mano come leader, prima allontanandolo fino a farlo sparire, non solo formalmente ed ufficialmente, ma anche fisicamente. Braccato dai sicari staliniani, il Cicerone di Mosca morirà nella sua casa a Coyoacán nel 1940. Pensandoci bene, con l’Arpinate condivide qualità (sicurezza che poi però pecca di tracotanza), abilità (oratoria) e morte (Marco Tullio fu assassinato nel 43 a.C. da alcuni sicari a Formia inviati dal triumviro Marco Antonio).

Profilo 3

Grigorij Evseevič Zinov'ev: “poliutropia (oratore, attivista, lavoratore, volto internazionale)”.

Dovendo citare tutti i passi in cui L. espone le qualità di questo profilo sarebbe più breve allegare l’intero spazio dedicatogli. Ci si accontenti di sapere che i suoi vari pregi sono esposte (esclusa la poliutropia, parola usata in questa sede per raggrupparle tutte) tra le pagine 36 e 37 del libro. Magari non primeggia in nessuno di questi, ma di certo non passa inosservato, tanto che si presenta come volto della III Internazionale (organizzazione internazionale dei partiti comunisti, fondata nel 1919 e sciolta nel ’43), il che già la dice lunga su quanto fosse stimato, ma L. rinforza il carico con una frase del menscevico Dan (si tratta di Fëdor Dan, San Pietroburgo, 19 ottobre 1871 – New York, 22 gennaio 1947) in proposito: “Che magnifica pubblicità per la Terza Internazionale avere a capo Zinov’ev” (pagina 38). Dan, come ci dice l’autore stesso, parla con forse sarcasmo ma anche se quest’affermazione fosse stata pronunciata con serietà, non avrebbe fatto scalpore, tenendo conto della levatura del personaggio in questione.

Zinov’ev fu una delle vittime più importanti del primo processo “purga” staliniano del 1936: fu condannato a morte per trockismo (accusa che prende il nome da Trockij, persona a noi ben nota ma che sotto Stalin era sparita da qualsiasi atto ufficiale; si può concludere che Zinov’ev sia stato condannato per qualcosa che prende il nome da un inesistente). Il tema delle purghe staliniane ricorre in tutto lo scritto ma non nei singoli capitoli, dal momento che è stato scritto nel ’23 mentre queste cominciano nell’agosto del ’36, ma nelle note di cui ogni spazio dedicato ad un profilo è dotato, a seguito della trattazione di L.: oltre ai casi più importanti di Trockij e Zinov’ev si segnalano a proposito la nota 19 a pagina 22, la nota 8 a pagina 35, la nota 16 di pagina 53 e la nota 5 di pagina 83, riguardanti politici, compagni, cittadini russi intrappolati nelle purghe.

Profilo 4

Georgij Valentinovič Plechanov: “nobiltà intellettuale” e “pionieristica del movimento dei lavoratori”.

“L’aspetto, il modo di parlare, il tono di voce, tutto il comportamento di Plechanov recavano in effetti l’impronta indelebile della nobiltà: Plechanov era un gentiluomo dalla testa ai piedi. Ciò avrebbe potuto offendere i sentimenti proletari di alcuni, ma bastava pensare che questo gentiluomo era un rivoluzionario estremista, uno dei pionieri del movimento dei lavoratori, perché l’aspetto aristocratico di Plechanov assumesse un significato solenne e commovente, e facesse pensare: “Anche uomini come lui sono dalla nostra parte” (L. parlando di Plechanov a pagina 43).

Il profilo che L. delinea in questo capitolo presenta una sensibilità artistica stupefacente, la politica come tallone d’Achille e un rapporto d’amore e odio con l’autore: “Al Congresso di Stoccolma proposi il voto di censura contro Plechanov. […] Malgrado i nostri contrasti, i miei rapporti con Plechanov erano rimasti ottimi” (L. su Plechanov, pp.48-49). 

Nelle pagine dedicate a questo menscevico anti leniniano, unico ad essere riuscito ad andare contro Tulin, vedendo comunque le sue opere sempre pubblicate, è decisamente degno di nota il filone filosofico: L. e Plechanov si intrattenevano in conversazioni stimolanti a proposito di Kant, degli idealisti tedeschi come Fichte, Schelling e Hegel (pagina 44 e note 7,8 e 9 a pagina 52), che hanno reso L. “arricchito di intuizioni nuove” (pagina 46) come mai nessun libro o museo.

Profilo 5

Jakov Michajlovič Sverdlov: “conoscenza del partito” e “capacità organizzativa”.

“Lo Sverdlov di quei giorni era l’archetipo dell’attivista bolscevico clandestino. Nel corso di tale attività aveva affinato due qualità che non si possono acquisire fuori da un movimento clandestino. Innanzitutto conosceva il partito in modo addirittura enciclopedico […]. La seconda era un indiscutibile talento per l’organizzazione” (L. su Sverdlov a pagina 54).

Sicuramente una figura del genere doveva essere una grande risorsa per il partito tanto che per commemorare la sua morte, causa, a quanto pare, di un errore di sottovalutazione medica in merito al forte stress a cui era sottoposto il compagno Sverdlov, Lenin stesso si fa autore di un epitaffio in suo onore: “Gli uomini come lui sono indispensabili. Per sostituirlo ci occorrerà un’intera squadra di persone.” L. riporta questa frase a pagina 58.

Da mettere in evidenza infine è una constatazione che l’autore ci propone in questo capitolo, e cioè che in questi profili un tratto caratteristico che diventa “leitmotiv” è la calma imperturbabile che questi personaggi mostravano nella loro quotidianità, nonostante le forti pressioni che subivano: Sverdlov e Urickij (il settimo dei profili) sono i campioni di questo esercizio (vedi pagine 55 e 69).

Profilo 6

Il compagno V. Volodarsky: “attivismo” e “eloquenza”.

“Prima dell’ottobre si rivelò uno degli attivisti più efficaci del partito […]. L’eloquenza era forse la dote principale di Volodarskij” (L. su Volodarskij, pp 60-61).

Tra i vari elogi, L. lo descrive come “l’espressione vivente non solo del terrore dell’ottobre, ma anche di quello che sarebbe esploso dopo la sua morte” (pagina 62); egli era un terrorista che operava contro la controrivoluzione (perdonatemi il gioco di parole), e cioè contro il movimento che voleva riportare la Russia allo zarismo, caduto dopo la Grande Rivoluzione: fu scatenata una guerra civile, tra “Armata Bianca” (nome dell’esercito che sosteneva lo zar) e “Armata Rossa” (esercito rivoluzionario creato da Trockij).

In questo capitolo ho notato involontariamente pertinente la presenza del nome Tauride (vedi pagina 65) riferito al palazzo (situato a San Pietroburgo) del principe Potemkin di Tauride, dove Volodarskij fu assassinato nel 1918 da un rivoluzionario di destra. Ritengo particolarmente curioso e, per certi versi, divertente che un personaggio di rilievo sia stato assassinato in un palazzo che porta il nome di un principe proveniente da un’area, la penisola di Crimea, il cui toponimo presso gli antichi Greci era Tauride, dove il tragediografo greco Euripide ambientò una sua tragedia, “Ifigenia in Tauride”, rappresentata per la prima volta tra il 411 e 409 a.C.; quale miglior posto per un assassinio di un luogo omonimo a quello di una tragedia in cui Ifigenia, che doveva essere immolata dal padre Agamennone per volere divino, venne portata da Artemide per essere sua sacerdotessa e sacrificare ogni straniero che vi sbarcasse?

Profilo 7

Moisej Solomonovič Urickij: “volontà di ferro” e “abilità tattica”

“La soluzione su questo problema richiedeva un politico di prim’ordine che riunisse in sé una volontà di ferro e la necessaria abilità tattica.” Cosi L. a pagina 71 descrive Urickij in merito al problema della gestione del co-operamento governo Soviet – Assemblea Costituente indipendente dopo la vittoria del 25 Ottobre (in questo giorno del 1917 cade il Palazzo d'Inverno e Lenin annuncia la presa di potere da parte dei Soviet).

Urickij aveva una “fede titanica nella causa della classe lavoratrice” (pagina 70) e condivide con Trockij una carriera politica oscillante tra menscevichi e bolscevichi: i secondi saranno la sua bandiera definitiva. Divenne una figura così importante tra i proletari operai che quando il Consiglio dei commissari del popolo lasciò Urickij responsabile del Soviet di Pietrogrado, al momento in gravi condizioni, bastò un “Ma Urickij resta qui” (pagina 72) da parte di Lenin a dare conforto ai compagni.

Questa fortissima personalità, disciplinata ma anche umana e gentile, venne uccisa in un attentato nel 1918 da un socialrivoluzionario di nome Kannegieser. Fu un duro colpo per il morale del partito tanto che lo stesso Lenin, a pagina 73, è consapevole che ogni compagno dovrà centuplicare, iperbolicamente parlando, i propri sforzi per sostituirlo.

Profilo 8

Julij Osipovič Martov (Cederbaum): “capacità tattica” e “abilità scrittoria”

“La sua capacità analitica è grandissima […]. Tutti gli elementi che invece risultano con grande nitidezza sono gli articoli di Martov, scritti in uno stile nobilissimo.”

  1. inserisce tra questi profili un grande avversario di Lenin (che prima era suo compagno e amico, infatti Tulin non rinnegherà mai il suo affetto per lui): Martov era capo dei menscevichi che nel suo cercare di mitigare e riunificare tutte le sfumature di opinione trovò il suo fallimento. Per altro è presentato come un grandissimo teorico, che però non aveva grande abilità oratoria (di sicuro non paragonabile a quella di Trockij) e non sapeva muoversi nei tumulti, in quel periodo all’ordine del giorno. L., sportivamente, non risparmia un elogio a pagina 81 in merito al suo fascino, simpatia e la stima che suscitava in Lenin e altri compagni, tanto che mentre Martov giaceva mortalmente ammalato nel ’23, Lenin disse tristemente a sua moglie una delle sue ultime frasi razionali (anch’egli era agli sgoccioli): “Dicono che Martov stia morendo” (vedi pagina 83).

Profilo 9

Fedor Ivanovich Kalinin: “ruolo di pensatore” e “patronato dell’arte”

“Era un pensatore e un organizzatore. Ma aveva un profondo interesse per il problema dell’arte, un interesse che lo occupava sempre di più”.

  1. ci proietta in questo capitolo descrivendo il personaggio in tal modo a pagina 85. Kalinin è uno dei pilastri della causa operaia, specie dal punto di vista culturale. In queste pagine l’autore decide di fargli posto sotto i riflettori, citando alcuni passi tratti dall’articolo di Kalinin Il proletariato e la creazione artistica. Ho scelto quello a pagina 86 perché segue il tema artistico e ne prendo in esame solo qualche riga: “Chi crede nella teoria dell’intuizione mistica è propenso a considerare la creazione artistica un dono concesso solo agli eletti, i quali, per una sorta di ispirazione magica, sarebbero capaci di creare valori eterni dal nulla”. Si prosegue sostenendo la presunzione falsa di questa teoria e l’opposta provenienza dell’arte, non da un genio artistico di matrice goethiana o esteta (sembra sentir parlare Oscar Wide nella prefazione al romanzo “The picture of Dorian Gray”), ma da un considerevole accumulo di esperienza di materiale quantitativo e qualitativo. L’arte insomma “non dimostra, rivela” (pagina 86) in quanto pensiero figurativo; quell’irrazionale genialità da bohemien non è che in realtà un insieme delle informazioni recuperate in maniera complessa dal subconscio. Sigmund Freud può affrontare una simile discussione meglio di noi, infatti è più pertinente spostarsi su un altro punto di vista del discorso: leggendo tra le righe si può notare come Kalinin proponga l’arte in maniera collettivista, non elitaria, frutto del lavoro e non del genio. Se la mia interpretazione è esatta, questa è una proposta molto adatta al comunismo di cui K. è esponente ortodosso, un fedele religioso. L. stesso a pagina 85 scrive che ogni deviazione dal cammino operaio tracciato da Kalinin, ovviamente in compagnia degli altri rivoluzionari, non può che essere un’eresia. Anche a quest’ultimo, dopo la sua morte nel 1920, è dedicata una commemorazione ed è L. stesso a farsene portavoce a pagina 90: “Quantunque abbia abbandonato fisicamente la battaglia, F.I. Kalinin è con noi in senso morale e intellettuale e sarà sempre il nostro alleato e il nostro sostegno”.

Profilo 10

Pavel Karpovič Bessal´ko: “ampiezza di vedute” e “fortissima appartenenza al mondo operaio”

“Credo che fra tutti i nostri scrittori proletari Bessal’ko fosse quello in cui la coscienza di essere un operaio era più profonda. […] Ma l’attrattiva principale per cui il compagno Pavel mi pareva una figura simbolica, un personaggio tipico, era la sua straordinaria ampiezza di vedute, nonostante la coscienza precisa della condizione operaia e la devozione appassionata alla propria classe.”

  1. descrive così a pagina 92 il suo ultimo profilo a cui sono dedicate tre pagine scarse. L’aspetto che ai miei occhi risulta più rilevante è quello del collettivismo, parola chiave della società comunista, trattato a pagina 94 nel caso corrente. Il “noi” è la priorità, e il collettivo darà all’io un valore tutt’altro che sopito, anzi lo slancerà di più che se questo fosse solitario, rispecchiando le ampie vedute di Bessal’ko.

Al lavoro editoriale

Terminata la trattazione dei profili, ci tengo ad assegnare (per quanto possa avere valore) una nota di merito al lavoro editoriale. Castelvecchi arricchisce ogni capitolo con molte note esplicative dei vari nomi o concetti inseriti da L. e completa il tutto con una breve biografia di ogni personaggio, in cui ritrovare una guida che chiarisca qualche perplessità che giustamente potrebbe nascere dalle silhouette, che non sono per forza di cose scientificamente esplicative.

Lo Stile

L., come detto nei preliminari all’analisi, scrive in maniera scorrevole rendendo la lettura piacevole e poco impegnativa, nonostante la quantità di nozioni che inserisce in così poche pagine. Ripeto che, leggendo il libro per studiarlo, cambia notevolmente la mole di informazioni da carpire e catalogare, perdendosi quindi la fruibilità dell’opera dal punto di vista puramente letterario.

Egli ci presenta i profili con una struttura ricorrente nei vari capitoli: comincia con l’anno, luogo o occasione in cui ha conosciuto il profilo, voci o notizie su questo avute dai suoi amici o dall’opinione pubblica per poi parlare dell’incontro ad personam che si sviluppa nel ritratto del soggetto in questione. Fa eccezione solo il profilo di Kalinin in cui L. comincia da una proto-commemorazione per poi sviluppare il capitolo con lo schema suddetto e infine lo chiude con la “ringkomposition”, perché nuovamente riprende l’argomento della sua morte rendendogli dovuta gloria. 

Anatolij infine ci porta nella Rivoluzione con semplicità e maestria assoluta. Molto gradevole nonché degno di menzione è il suo parlare dei colleghi chiamandoli per nome (e perciò me ne sono arrogato il diritto anche io poc’anzi), questo dimostra come i rapporti anche ai vertici del partito fossero paritari e come nel rispetto e stima reciproci si lavorasse nella creazione di uno stato ex abrupto, perché non c’era un modello. Quello di Lenin e compagni era il primo stato comunista della storia.

Chi è Anatolij Vasil'evič Lunačarskij?

Riporto dal retro copertina del testo: nato a Poltava, 1875 morto a Mentone nel ’33, è “marxista già dagli anni del liceo, nel 1899 venne arrestato per la sua attività rivoluzionaria e mandato in esilio. Al suo ritorno, nel 1904, divenne uno dei principali leader bolscevichi. Tra il 1918 e il 22 fu membro del Consiglio Militare Rivoluzionario. Dal 1933 fu ambasciatore sovietico in Spagna”. L. ebbe come protetti molti artisti che poterono prosperare e dare valore alla Russia che conobbe in questo periodo la massima espansione artistica. Avendo un grande rispetto dell’arte in sé, evitò che molte opere ortodosse fossero distrutte dalla furia atea bolscevica dei primi anni della Rivoluzione.

L’eredità

Dopo tutti questi grandi nomi, grandi anni, grandi capovolgimenti, cosa ci è rimasto?

Si potrebbero (non è il mio caso, non ancora quantomeno) scrivere non uno ma cento saggi o libri per rispondere a questa domanda, enciclopedie intere addirittura. Io non mi sento di aprirmi in giungle che non saprei esplorare, perciò vi dirò quello che mi è rimasto quando ho chiuso la copertina rossa a tono.

Per quanto ogni ideologia, ogni singola azione o pensiero sia discutibile, ed è vero, o non condivisibile, ed è vero, ho avuto la fortuna di conoscere degli uomini, quelli di Lunačarskij, non dei supereroi, che hanno dato tutto, alcuni fino all’ultimo respiro, per rendere veri, quotidiani, quegli ideali in cui credevano. Rivoluzionari d’azione non di poltrona, che si sono fatti strada in mezzo al popolo, non abbandonandolo a sé stesso. Ammiro in essi la determinazione con cui kantianamente hanno voluto fare del loro imperativo legge morale e anche solo per questo saranno sempre avvolti da un’aura di rispetto e stima per chiunque vi entri a contatto, anche chi come me ha letto solo un libretto di cento pagine.

 

Tommaso Magi, 3A
a.s. 2022/2023